Il fondamento paradossale del pensiero socratico è il "sapere di non sapere", un'ignoranza che si manifesta come consapevolezza della mancanza di conoscenza definitiva e che diventa il motore principale del desiderio di sapere. La figura del filosofo, secondo Socrate, è diametralmente opposta a quella del saccente, cioè del sofista che si considera e si proclama sapiente, almeno in una sapienza tecnica come quella retorica.
Le fonti storiche descrivono Socrate come un individuo mosso da un'intensa ricerca della verità e della conoscenza, che tuttavia gli sembrava sempre sfuggente. Egli affermava di aver compreso di non sapere nulla, e per questo motivo si considerava più sapiente degli altri.
Nell'Apologia di Socrate viene narrato come egli sia giunto a questa consapevolezza attraverso un evento particolare. Un suo amico, Cherefonte, interrogò la Pizia, la sacerdotessa dell'oracolo di Apollo a Delfi, su chi fosse l'uomo più sapiente di Atene, e la risposta fu Socrate. Consapevole della propria non-sapienza e sapendo che l'oracolo non mente, Socrate interpretò il responso come un riconoscimento che solo chi si ritiene ignorante è veramente sapiente.
Al termine del confronto, racconta Socrate, coloro che si credevano sapienti, di fronte alle proprie contraddizioni e insufficienze (l'aporia socratica), si sentirono stupiti e smarriti, mostrandosi per ciò che erano: arroganti ignoranti inconsapevoli della propria ignoranza. «Allora compresi», afferma Socrate, «che in realtà ero il più sapiente, perché ero l'unico a conoscere la mia ignoranza. Di conseguenza, quegli uomini, che erano i governanti della città, di fronte alla loro insufficienza, iniziarono a odiare Socrate».
Socrate e Santippe: un'incisione di Otto van Veen del XVII secolo.
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