Capitolo 4 – La stanza che non c’era
Il mattino seguente, Clara si svegliò con un nodo alla gola, come se qualcosa durante la notte le avesse parlato nel sonno, ma non riuscisse a ricordare le parole. Aveva la sensazione di non essere sola nella stanza, eppure sapeva di esserlo. La casa le sembrava più vasta di quanto ricordasse, come se ogni notte aggiungesse una parete, un corridoio, un respiro in più.
Fece colazione in silenzio. Niente telefono, niente radio, solo i rumori della campagna e il ticchettio irregolare dell’orologio a pendolo giù nell’ingresso che a volte pareva accelerare, come se si stesse innervosendo.
Prese di nuovo il quaderno. Le ultime pagine erano confuse, ma una frase le si fissò negli occhi:
“Lui dice che la casa cambia. Dice che ogni tanto appare una stanza nuova e che è lì che si decide tutto.”
Clara ricordò un vecchio armadio nell’angolo della stanza da letto al piano superiore. Lo aveva sempre ignorato, pensando fosse chiuso da anni. Ma ora… non era più così sicura. Salì le scale lentamente, con la mano tesa sulla ringhiera di ferro battuto. Quando aprì la porta, la stanza sembrava più buia del solito, più carica.
L’armadio era lì. Massiccio, di legno scuro, decorato con motivi floreali intagliati. La chiave pendeva dal buco della serratura, come se qualcuno l’avesse appena lasciata lì. Clara l’afferrò. Un brivido le attraversò le dita, girò lentamente la chiave, sentì uno scatto secco. Aprì.
Ma non trovò abiti né mensole.
Dietro le ante si apriva un passaggio.
Un corridoio.
Impossibile!
Non c’era spazio architettonico per quel corridoio, eppure era lì, illuminato da una luce gialla, fievole, e profumava vagamente di lavanda e carta vecchia. Clara sentiva il cuore martellare nel petto, eppure entrò. Ogni passo sembrava attutito, come se camminasse sopra uno strato denso d’aria. Le pareti del corridoio erano coperte di foto: volti. occhi, alcuni familiari altri no.
In fondo, una porta, era chiusa
Clara vi si avvicinò e con dita tremanti, la spinse. Si aprì senza rumore.
La stanza che si rivelò era piccola, polverosa, con una finestra aperta che dava sul vuoto. Letteralmente: non c’erano colline, né alberi, né cielo. Solo bianco. Come se il mondo lì non fosse ancora stato disegnato. Al centro della stanza c’era una sedia. Su di essa, un vestito giallo da bambina, piegato con cura. Accanto, un biglietto.
“Lo hai dimenticato, Clara. Ma lui no.”
Un suono dietro di lei.
Clara si voltò di scatto.
Lucia. Era lei giovane, come nelle foto, la osservava con occhi lucidi.
“Non sei davvero tu,” sussurrò Clara.
“Eppure sono qui. Come eri tu, una volta, come potresti essere ancora.”
Clara fece un passo avanti. “Cosa vuole da me?”
Lucia abbassò lo sguardo. “Non vuole niente. È tu che vuoi qualcosa da lui. Sempre lo stesso errore. Lui non si prende. Si invita.”
“Chi è lui?” chiese Clara, a voce più alta.
Lucia si voltò verso l’esterno. “Non ha nome. Perché vive nei nostri pensieri. Cambia forma, ma resta. Aspetta. Tu sei tornata, e ora la casa ti riconosce.”
Il vestito giallo sulla sedia sembrava pulsare.
Clara si sentì girare la testa. Ricordi confusi: un’estate lontana, un’amica immaginaria. Una voce che le parlava dal buio dell’armadio. Una notte in cui aveva giurato a se stessa di non ricordare. Una promessa sussurrata a qualcosa che non doveva ascoltare.
Il mondo nella stanza si fece più chiaro. Vide sé stessa, bambina, che giocava con qualcun altro… ma il volto dell’altro era sfocato. Umano? Forse. Ma… non del tutto.
Fu allora che capì.
Non era Lucia a essere impazzita.
Era Clara che, da bambina, aveva aperto quella porta. Ed era lei ad averlo fatto entrare. Lucia, tornata d’estate, lo aveva ritrovato. E aveva cercato di chiudere il cerchio. Di fermarlo. Ma era scomparsa.
Clara chiuse gli occhi.
La stanza era sparita.
Era di nuovo nella camera da letto, davanti all’armadio chiuso.
Aveva sognato?
Aveva davvero aperto qualcosa?
Il vestito giallo, però, ora era sul letto.
E il biglietto sul cuscino.
“Hai già scelto. L’hai fatto da bambina. L’estate non dimentica.”
Clara non dormì quella notte.
E per la prima volta, comprese: la casa non era maledetta. Era viva. E la stava aspettando.
(continua)
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