Il caldo era arrivato all’improvviso, senza bussare. Una mattina, il cielo si era tinto di un azzurro liquido e denso, come vernice fresca, e l’aria profumava di erba tagliata e cicale. Il villaggio sembrava uscito da una cartolina dimenticata: persiane spalancate, tende leggere che si muovevano come veli, e strade di terra battuta dove le biciclette lasciavano tracce effimere.
Clara tornava ogni anno, sempre a luglio. La casa dei nonni, in cima alla collina, non cambiava mai: i muri bianchi screpolati dal sole, il portico ombroso, e l’altalena legata al vecchio ulivo, che oscillava piano anche senza vento. Era come se l’estate la aspettasse lì, ferma, paziente, in attesa del suo arrivo.
Il cancello cigolò come un saluto familiare. Clara lo spinse con il piede, tenendo con una mano la valigia e con l’altra il libro che stava leggendo da giorni. Il cortile era invaso da un silenzio vivo, pieno di ronzii e fruscii, e il tempo sembrava essersi stropicciato come un lenzuolo dimenticato al sole.
Fu dentro casa che tutto ricominciò. Le mattonelle fresche sotto i piedi nudi, il profumo di basilico sul davanzale, le fotografie in bianco e nero che guardavano da ogni parete con occhi antichi. Clara appoggiò la valigia accanto alla scala e salì in camera sua. Le tende erano le stesse dell’infanzia, così come il vecchio letto di ferro battuto. Si lasciò cadere sul materasso e chiuse gli occhi.
Fuori, le cicale cantavano come pazze.
Quella notte, qualcosa cambiò. Forse fu il vento che entrò dalla finestra aperta, portando con sé un odore di pioggia lontana. Forse fu il suono dei passi leggeri nel corridoio, o il fruscio di un vestito che non apparteneva a nessuno. Ma Clara si svegliò di colpo, e nella penombra vide l’altalena muoversi.
E non c’era vento.
Continua i prossimi giorni
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