Capitolo 2 – L’Ospite Invisibile
Clara rimase immobile, il respiro sospeso tra le ciglia della notte. Il buio aveva una sua voce, un suo odore, e in quel momento sembrava volerle dire qualcosa. L’altalena, fuori, continuava a muoversi piano, con quella lentezza che appartiene solo alle cose dimenticate. Sentiva il leggero rumore. Si alzò dal letto senza accendere la luce. Ogni passo sul pavimento scricchiolava come una parola pronunciata a mezza bocca. La casa pareva ascoltarla, come se attendesse la sua reazione. Quando arrivò alla finestra, il vetro le restituì il suo volto, ma per un istante le sembrò che ci fosse anche un’altra sagoma dietro la sua. Qualcosa o qualcuno… un’impressione fugace, come un’ombra che si pente di esistere.
L’altalena era ferma.
Clara si disse che era stato solo un sogno strano, uno di quelli che si confondono con la realtà nelle notti troppo calde. Tornò a letto, ma non riuscì più a dormire. Alle prime luci dell’alba, scese in cucina. Il tavolo di legno era esattamente come lo ricordava: segnato, vissuto, con un piccolo graffio sul bordo che lei stessa aveva fatto da bambina con una forchetta. Fu allora che lo vide. Un fiore.
Un piccolo fiore di campo, giallo e vivo, appoggiato con cura sul piatto vuoto che nessuno aveva usato. Clara si irrigidì. Nessuno era venuto con lei. Nessuno sapeva che sarebbe arrivata quella notte. Uscì sul portico con il fiore stretto tra le dita. Il sole sorgeva dietro le colline, dorando i campi e le foglie degli ulivi. Tutto sembrava così normale. Così perfettamente estivo. Eppure, sentiva una presenza. Non minacciosa, ma nemmeno neutra. Una curiosità palpabile, un’attenzione silenziosa che vibrava nell’aria. Quando tornò in casa, decise di controllare tutte le stanze. Aprì porte, sollevò lenzuola, aprì gli armadi. Nulla. Ma in soffitta – dove nessuno metteva piede da anni – trovò qualcosa che non si aspettava: un quaderno. Nero, polveroso, con il nome “Lucia” scritto a penna, in una calligrafia familiare e spigolosa. Lucia era il nome di sua zia. Morta trent’anni prima.
Clara restò lì, ferma, con il quaderno tra le mani, mentre dalla finestra della soffitta il canto delle cicale si affievoliva, come se anche loro aspettassero di sapere cosa c’era scritto dentro.
E quando lo aprì, la prima frase la trafisse come una lama:
“Se leggerai queste parole, vuol dire che sei tornata. E non sei sola.”
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