lunedì 23 settembre 2024

il "sapere di non sapere" Socrate

 

Il fondamento paradossale del pensiero socratico è il "sapere di non sapere", un'ignoranza che si manifesta come consapevolezza della mancanza di conoscenza definitiva e che diventa il motore principale del desiderio di sapere. La figura del filosofo, secondo Socrate, è diametralmente opposta a quella del saccente, cioè del sofista che si considera e si proclama sapiente, almeno in una sapienza tecnica come quella retorica.
Le fonti storiche descrivono Socrate come un individuo mosso da un'intensa ricerca della verità e della conoscenza, che tuttavia gli sembrava sempre sfuggente. Egli affermava di aver compreso di non sapere nulla, e per questo motivo si considerava più sapiente degli altri.
Nell'Apologia di Socrate viene narrato come egli sia giunto a questa consapevolezza attraverso un evento particolare. Un suo amico, Cherefonte, interrogò la Pizia, la sacerdotessa dell'oracolo di Apollo a Delfi, su chi fosse l'uomo più sapiente di Atene, e la risposta fu Socrate. Consapevole della propria non-sapienza e sapendo che l'oracolo non mente, Socrate interpretò il responso come un riconoscimento che solo chi si ritiene ignorante è veramente sapiente.
Al termine del confronto, racconta Socrate, coloro che si credevano sapienti, di fronte alle proprie contraddizioni e insufficienze (l'aporia socratica), si sentirono stupiti e smarriti, mostrandosi per ciò che erano: arroganti ignoranti inconsapevoli della propria ignoranza. «Allora compresi», afferma Socrate, «che in realtà ero il più sapiente, perché ero l'unico a conoscere la mia ignoranza. Di conseguenza, quegli uomini, che erano i governanti della città, di fronte alla loro insufficienza, iniziarono a odiare Socrate».



Socrate e Santippe: un'incisione di Otto van Veen del XVII secolo.



Aristippo

 La scuola filosofica dei Cirenaici, fondata da Aristippo, pone il piacere come scopo primario dell'esistenza. Non essendo omogenea, la scuola cirenaica si è sviluppata in diverse correnti etiche e ha trovato parziali riscontri nell'epicureismo. Epicuro ha infatti fornito alla sua dottrina edonistica basi ontologiche e gnoseologiche, assenti nei Cirenaici, i quali hanno sviluppato il loro pensiero esclusivamente sull'etica pratica della vita quotidiana. Aristippo ha delineato questa corrente filosofica sull'antropocentrismo, il sensismo assoluto, la ricerca del piacere fisico e l'autosufficienza individualista.La caratteristica distintiva dell'edonismo di Aristippo è l'individualismo estremo e un'autosufficienza simile a quella cinica, con un marcato disprezzo per le convenzioni sociali e le tradizioni. Il piacere, immediato e dinamico, si lega all'individualismo che lo ricerca in ogni momento dell'esistenza, in qualsiasi sua forma. Solo gli eventi umani sono degni di interesse e i fenomeni naturali lo sono solo se generano piacere. Tuttavia, l'autosufficienza, principio cardine di Aristippo, si applica anche al piacere: va ricercato senza diventarne schiavi, perché se il piacere è sempre un bene da perseguire, quando diventa padrone, deve essere rifiutato in favore dell'autosufficienza e dell'autonomia individuale. Il vero piacere, secondo Aristippo, è sempre dinamico (non l'aponia epicurea, ovvero l'“assenza di dolore”) e rappresenta il motore positivo dell'esistenza, che è una successione discontinua di istanti da vivere nel presente, trascurando passato e futuro.

Raffigurazione di Aristippo


“Sono così stordito del niente che mi circonda” Leopardi

 

“Sono così stordito del niente che mi circonda” dal carteggio tra Leopardi e Giordani


Ritratto di Giordani


Giacomo Leopardi, Lettera a Pietro Giordani, 19 Novembre 1819

“Sono così stordito del niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere, né muovermi altro che per forza dal luogo dove mi trovassi .Non ho più lena di concepire nessun desiderio, neanche della morte, non perch’io  la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo; e sono così spaventato dalla vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione.”

A. Ferrazzi, Portrait of Giacomo Leopardi, circa 1820, oil on canvas, located in Recanati, Leopardi Palace


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Perciò correggo la mia dedica:
A Leone Werth
quando era un bambino»

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Di Roel Wijnants - Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia

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